Boia 'ome son prolifi'o!.
Qui si parla di trucchetti che possano servì a tutti, òmini e donne. Se racconto tutto ar maschile è per non fa sembrà questo poste simile a un volantino di sinistra criti’a, un so se ci siamo ‘apiti/e.
Arrivava in paese tutto lustrato e via co’ racconti delle su’ gesta eroti’he: quella l’ho presa di ‘osì, con quell’arta ancora ci son’andato proprio per fagli un piacè (“si dice per falle, ghiozzo che un sei artro”, pensava Imo aggrappandosi alla grammati’a per sentissi un po’ migliore), quell’artra era un mese che mi rompeva i ‘oglioni e ora vedrai la voglia gliè passata (“gliè? Ma come si poleee!). E Imo appoggiato ar muro der circolino a fa’ la cariatide perché si sentiva come se stesse per cascagli addosso tutto ‘r palazzo, Imo, che per sortì con una ci doveva leti’à du’ giorni addiritto. Inzomma, ir tipo tutto fiero schioccava i diti e le fie gli sartavano addosso, ma se lo guardavi nell’occhi sembrava guasi che ‘r piacere più grosso lo provasse ner raccontallo. Si, lo raccontava colle mani e cor bacino, l’occhi ‘n fori e la mascella disgiunta in avanti. Però c’aveva un racconto così sterile che pareva andasse a letto ’on le ragazze solo per ir gusto di sentì ‘r sapore della sigaretta una vorta finito, per ir gusto d’esse quello che, spenta la sigaretta se n’andava senza dà spiegazioni. A giudi’à dai pèi che dava ai marborini il vero orgasmo doveva risiede proprio ner fumà. Inzomma, ir su piacere un stava tanto ner trombà ma, paradosso dell’edonismo, ner gusto di fa crepà d’invidia tutti l’amici ar barre.
“Voi trombanne tante anche te come lui? Deh, un ci vor nulla, raccontalo anche te!” disse una sera a Imo un ometto tutto grinzoso che teneva ir ponche con du’ dita ‘on la leggerezza di chi n’ha maneggiati davvero parecchi.. “Ma ri’ordati, ti puoi creà anche una fama, ma se poi ti rimane la fame un ti serve a nulla” Imo lo guardava zitto e coll’occhi spalancati continuando a be’ dar bicchiere già vòto da un po’.
“Se non la chiedete non ve la dannooo…” continuava l’omino mentre Imo guardava li scurini di legno der finestrone der barre immaginandosi di incidici sopra le sacre leggi ‘ome Mosè.. “…è questa la ‘osa fondamentale che un volete ‘apì, cane della berva!”. “E poi studiate, studiate, studiate che se acquisite un bon uso della dialetti’a basta avè du’ cazzate da raccontà e ‘r gio’o è fatto, o perlomeno un ci fate la figura der ghiozzo come luilì che chiacchera di cicchini da mezzora”.
“Studiate perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza” si ripeteva mentalmente Imo reduce dalla recente lettura di Gramsci.
“E se un ve la danno un vi scoraggiate, pesa meno un rifiuto der rimorso d’un avella nemmeno chiesta”.
“Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso” pensava Imo mentre vedeva l’omino a be’ i ponche cor Che e Fidèl sulla Sierra Maestra.
“Fammi vedè se hai ‘apito quarcosa” disse di punto in bianco l’omino. “T’ho visto che mi seguivi nei discorsi, ma ora è arrivato ir momento di mettili subito ‘n prati’a. Operativi diocane!” “Vai dalla Izia, che vi vedo sempre ‘he vi guardate e che ruzzate insieme come i deficienti ...e chiedigliela”.
“Oimmei” pensava Imo, “così dar nulla?” ma un poteva certo delude l’omino che ora s’era rimpiattato dietro ir mezzobusto di Lenin a guardà la scena co’ un ponche nòvo in mano.
Imo prese un artro vino ar bancone, du’ sorsi e via a sedè davanti la Izia... se’ondi d’interminabile silenzio... Imo beve e fa’ finta d’avè la bocca troppo impegnata dar sorseggià per potè di’ quarcosa… interminabile silenzio… l’omino scote ir capo e abbassa lo sguardo… silenzio ancora… l’omino si sta per girà dall’artra parte quand’ecco che sente delle parole. La Izia aveva preso in mano la situazione e guardando Imo con l’aria un po’ sfavata tipi’a della metà dell’anni novanta disse ”Oh, allora? Perché mi guardi e non favelli?”. Imo posò ir bicchiere e guardandola diritta nell’occhi sentenziò “IO FAVEREI ANCHE, MA SEI TE CHE UN TOPI”.
L’omino accennò un sorriso grinzoso e arzò ir ponche ar cielo in segno di approvazione.
Ma.