"Se nei Blogghe tutti fanno un copioso uso della parola IO annoiandoci con turpiloqui sulla condizione esistenziale...beh a noi ci garba facci i cazzi di vell'artri e magari facci anche du risate!"

Premesse...

Siccome in questo brogghe noi ci si vole scrive li stracazzi dell'artri e, forse, a quest'artra gente qui gli potrebbe anche dà noia...allora...s'è deciso, insieme al garante per la praivaci, di non mettici i nomi a modino, quelli di battesimo, e nemmeno i soprannomi che si capiscano più dei nomi, ma ci si inventano...così...un capisce un tubo nessuno e son contenti tutti...più o meno...



16 febbraio 2010

Io faverei, tu faveresti, ella toperebbe.

Boia 'ome son prolifi'o!.

Qui si parla di trucchetti che possano servì a tutti, òmini e donne. Se racconto tutto ar maschile è per non fa sembrà questo poste simile a un volantino di sinistra criti’a, un so se ci siamo ‘apiti/e.

Arrivava in paese tutto lustrato e via co’ racconti delle su’ gesta eroti’he: quella l’ho presa di ‘osì, con quell’arta ancora ci son’andato proprio per fagli un piacè (“si dice per falle, ghiozzo che un sei artro”, pensava Imo aggrappandosi alla grammati’a per sentissi un po’ migliore), quell’artra era un mese che mi rompeva i ‘oglioni e ora vedrai la voglia gliè passata (“gliè? Ma come si poleee!). E Imo appoggiato ar muro der circolino a fa’ la cariatide perché si sentiva come se stesse per cascagli addosso tutto ‘r palazzo, Imo, che per sortì con una ci doveva leti’à du’ giorni addiritto. Inzomma, ir tipo tutto fiero schioccava i diti e le fie gli sartavano addosso, ma se lo guardavi nell’occhi sembrava guasi che ‘r piacere più grosso lo provasse ner raccontallo. Si, lo raccontava colle mani e cor bacino, l’occhi ‘n fori e la mascella disgiunta in avanti. Però c’aveva un racconto così sterile che pareva andasse a letto ’on le ragazze solo per ir gusto di sentì ‘r sapore della sigaretta una vorta finito, per ir gusto d’esse quello che, spenta la sigaretta se n’andava senza dà spiegazioni. A giudi’à dai pèi che dava ai marborini il vero orgasmo doveva risiede proprio ner fumà. Inzomma, ir su piacere un stava tanto ner trombà ma, paradosso dell’edonismo, ner gusto di fa crepà d’invidia tutti l’amici ar barre.

“Voi trombanne tante anche te come lui? Deh, un ci vor nulla, raccontalo anche te!” disse una sera a Imo un ometto tutto grinzoso che teneva ir ponche con du’ dita ‘on la leggerezza di chi n’ha maneggiati davvero parecchi.. “Ma ri’ordati, ti puoi creà anche una fama, ma se poi ti rimane la fame un ti serve a nulla” Imo lo guardava zitto e coll’occhi spalancati continuando a be’ dar bicchiere già vòto da un po’.

“Se non la chiedete non ve la dannooo…” continuava l’omino mentre Imo guardava li scurini di legno der finestrone der barre immaginandosi di incidici sopra le sacre leggi ‘ome Mosè.. “…è questa la ‘osa fondamentale che un volete ‘apì, cane della berva!”. “E poi studiate, studiate, studiate che se acquisite un bon uso della dialetti’a basta avè du’ cazzate da raccontà e ‘r gio’o è fatto, o perlomeno un ci fate la figura der ghiozzo come luilì che chiacchera di cicchini da mezzora”.

Studiate perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza” si ripeteva mentalmente Imo reduce dalla recente lettura di Gramsci.

“E se un ve la danno un vi scoraggiate, pesa meno un rifiuto der rimorso d’un avella nemmeno chiesta”.

Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso” pensava Imo mentre vedeva l’omino a be’ i ponche cor Che e Fidèl sulla Sierra Maestra.

“Fammi vedè se hai ‘apito quarcosa” disse di punto in bianco l’omino. “T’ho visto che mi seguivi nei discorsi, ma ora è arrivato ir momento di mettili subito ‘n prati’a. Operativi diocane!” “Vai dalla Izia, che vi vedo sempre ‘he vi guardate e che ruzzate insieme come i deficienti ...e chiedigliela”.

“Oimmei” pensava Imo, “così dar nulla?” ma un poteva certo delude l’omino che ora s’era rimpiattato dietro ir mezzobusto di Lenin a guardà la scena co’ un ponche nòvo in mano.

Imo prese un artro vino ar bancone, du’ sorsi e via a sedè davanti la Izia... se’ondi d’interminabile silenzio... Imo beve e fa’ finta d’avè la bocca troppo impegnata dar sorseggià per potè di’ quarcosa… interminabile silenzio… l’omino scote ir capo e abbassa lo sguardo… silenzio ancora… l’omino si sta per girà dall’artra parte quand’ecco che sente delle parole. La Izia aveva preso in mano la situazione e guardando Imo con l’aria un po’ sfavata tipi’a della metà dell’anni novanta disse ”Oh, allora? Perché mi guardi e non favelli?”. Imo posò ir bicchiere e guardandola diritta nell’occhi sentenziò “IO FAVEREI ANCHE, MA SEI TE CHE UN TOPI”.

L’omino accennò un sorriso grinzoso e arzò ir ponche ar cielo in segno di approvazione.

Ma.

15 febbraio 2010

Storia guasi d'amore


Visto che la Si ci vole fa morì tutti di diabete con le su’ storie sdorcinate, aiutiamola continuando a parlà sempre d’amore. Naturarmente d’amori che vanno a puttane e che son quelli, mi par di 'apì, che si 'onoscan meglio.

Imo stava mangiando un piatto di riso bianco cor tonno ar carduccio dell’effetto serra della su’ macchina e, mentre con una mano s’ingozzava bene bene e coll’arta rispondeva a’ messaggi non ca’ati della mattinata, si è avvicinata una coppia sui trentacinqu’anni. Si sono fermati proprio accanto ar finestrino e hanno iniziato a leti’à pesantemente, ma pesantemente… certi strilli coll’occhi di fòri… Questi tizi, presi dalla loro animata disputa sentimentale un si sono accorti di lui e si sono detti di tutto. “M’hanno detto t’hanno vista ner corso con luilì, o allora? Voglio sentì cosa mi dici”…”ma te l’avevo detto che sarei andata a Pisa per negozi” e via dicendo. Accuse e giustifi’azioni per dieci minuti bòni. Imo un sapeva cosa fà: ormai era passato già troppo tempo per mette in moto e partì con la macchina oppure bussà ar vetro per dinni: “Ohi! Ci sarei anch’io qui accanto, se poi vi girate e mi vedete un vi sfavate anche ‘on me che un c’incastro una sega, un vi volevo mi’ spià, sia 'nteso!” e quindi s’è sorbito tutto! La fine d’un amore, di un matrimonio forse.. poi lei s’è messa a piange verso la macchina e l’ha visto, con la bocca tutta unta e coll'occhi vivi! Si sono guardati du’ se’ondi e la tipa, credo presa dall'imbarazzo, ha reagito, si è vortata verso ir tizio veramente antipati’o e gli ha gridato cor dente avvelenato: "BASTAAAA! VAI VIAA, NON TI VOGLIO PIU' VEDEREEEEE!!!!". Poi si è messa a corre, co’ lucci’oni all’occhi, verso l'artro lato della strada. Ir tipo c'è rimasto spiazzato e ha provato a seguilla ma, dopo avè pensato che forse un ne valeva la pena e che soprattutto era fati’a, è salito in macchina ed è partito facendo fischià le rote (che tradotto dal linguaggio non verbale de’ ghiozzi vor dì “ma vai in culo te e chi t’ha ca’ato, tegame” con allegato moccolo a vostra scerta) ammorbando l'aria dell'odore della gomma bruciata! Imo ha finito ir riso ar tonno e mentre cercava sotto i sedili li spiccioli per un caffè pensava alla ragazza, gli garbava l’idea che lei avesse trovato ir coraggio di rompe con quer tipo (veramente antipati’o) grazie a lui, che avesse trovato ne su’ occhi vispi la forza per prende la decisione di mandallo finarmente affanculo!
Ha bevuto ir caffè guardando fòri dalla porta der barre aspettando che lei tornasse per ringraziallo e offrìgli un ponche!
Ingrata diobono!!

Ma.

13 febbraio 2010

Colonna Sonora UmBerTo ToZzi

Se san valentino sapesse com' è romantica e dedita all'amore la Va. verrebbe giu da l cielo a piglialla a pedate ner culo.
E farebbe bene, perchè forse un po di romanticheria a vorte un farebbe male, e me lo di'o anche per me che mi sa che l'ho persa per strada.
Mi sa che il mi problema con San valentino è nato quando facevo le medie. Son rimasta traumatizzata da un evento terrifi'ante.
Ero innamoratissima di un tizio che faceva la terza, io facevo la se'onda. Ora, tralasciando una serie di particolari , tipo che sto tipo è ora un cioccolataio super palestrato, il punto non è quello che è successo dopo, ma quello che successe quel giorno.
Era il 14 febbraio del 1991 e quella mattina camminavo svelta per arrivà a scuola piena d'aspettative. Vestita con il mio maglioncino extralungo con i canini sul bordo, i jeans un po corti che si vedeva il carzino, il bomberino blu cangiante e capello a caschetto con frangia iper bombata, più o meno parallela al terreno.
Io a dodici anni un ero proprio una bellina, ne dimostravo otto e mezzo allungata, avevo po'o dominio de movimenti der corpo e vagavo sembrando più un bacchio informe che una ragazzina.
Però deh...
Salgo le scale tutte d'un fiato, per vedé se incrociavo quer tipo che mi garbava, schivo un paio di bimbette tutte tette, e mi avvio verso la mi classe. Entro e subito vedo che sul mi banco c'è qualcosa.
Batticuore. Bum bum bum, la frangia perde forza e un po s'ammoscia.
Mi avvicino al banco e riconosco una forma di cuore, un biglietto.
Oimmei pensavo, è lui, si è accorto di me, e oggi si dichiara...
Poso la cartella tutta alla sverta, piglio in mano questo cuoricino rosa, c'è scritto per Silvia, deh è mio...
Lo giro e lo leggo:

Buon san valentino alla più b...
l'occhi però vanno più sverti verso la firma.

Leggo la prima lettera M e gia un corrisponde al nome di quello che mi garba a me, penso a un errore...continuo a leggere...
Matteo

Rimango così, tipo cartonata, un capisco li per li chi cazzo è sto Matteo.
Resto un pò male che non è quello di terza, ma penso che forse questo Matteo potrebbe esse anche meglio di lui.
Arriva la professoressa e io rimango li a fantasticare su quel cuoricino rosa.
Suona la campanella, è ricreazione. Stralunata sto al banchino a fà merenda.
Sul banco vedo una mano, un cioccolatino...bum bum bum bum
Alzo la testa dar panino con gli occhioni tipo cartone animato...
Oddioooooooooooooooooooooo la mia mente fa i conti, inizio a pensare come si chiama questo cesso con i capelli rossi l'occhiali e l'apparecchio e i frignoli gialli sur muso.
Viene in classe mia e nn mi ricordo come si chiama.
Oddddioooooooooooooooooooooo MAtteo.
Mi sorride con l'apparecchio con i gommini e mi dice: Prima il biglietto, ora la cioccolata...un bacino me lo dai???
Il panino mi va di traverso.
Mi alzo e un di'o nulla. Esco ner corridoio.
Ritorno in classe e lui è li che mi sorride.
Li do un bacino sulla guancia...
Almeno per un paio d'ore avevo potuto sognà.

A Serena con affetto.

Si.

12 febbraio 2010

Fegati ingrossati


Quando sono in casa m’affaccio ogni tanto alla finestra per vedè se i vigili m’hanno fatto la murta. Una vorta le murte le pigliavo spesso ma ora di vigili in giro se ne vedano sempre meno. Deh, io sto più rilassato ma un po’ mi manca ir fa’ le ‘orse dar vigile cor blocchetto in mano e fa' finta di piange per vedé di levacci le gambe, e poi questa prati'a mi serviva anche per mette in atto le mi’ apacita attoriali inespresse.

Invece ora li vedò passà sempre più raramente, ma però sempre più chionzi e rallentati. Anche la vigilessa bona m’ha messo su un culo ‘he sembra ir comune di Capannori. Poi ho collegato tutto: un po’ di tempo fa hanno messo le tele’amere in paese, tra l'artro anche proprio davanti a casa mia (io gli vò un pezzo ner culo perché sto ar seondo piano e un mi vedano) e i vigili passano le giornate fissi davanti alli schermi in caserma a spià la gente passà, non tanto per dovere ma soprattutto per piacere, e chi è o è stato su facebook mi ‘apisce e sa com’è ganzo guardà cosa ‘ombinano l’artri zitto zitto e senza fassi vedè. Dicevo… fissi davanti li schermi senza mai staccà, si alimentano con tramezzini strapieni di maionese e sarsine, cocacole e caffè, spicchi di pizza diaccia e merendini. E allora faccio un appello a tutti i nutrizionisti che ci seguono, andate sotto le tele’amere nelle vostre città e convincete i vigili a cambià regime alimentare, un possano sta fissi lì a fassi i cazzi di vell’artri e campà a tramezzini der barre e troiai vari, cercate di ‘onvincili finchè sono in tempo perché poi diventa un casino smartì tutti ‘ue grassi.

Comunque un son qui per parlà male delle tele’amere, ci mancherebbe, che un servano a un cazzo l’hanno già detto e dimostrato in tanti. Son qui a scrive perché a furia di fammi i cazzi artrui dar terrazzo mi sono accorto che le tele'amere un’utilità sociale invece ce l’hanno.

Ho studiato attentamente la reazione della cittadinanza: all’inizio tutti indispettiti da quest’occhio che l’inseguiva dappertutto, ma è bastato po'o e tutti si sono abituati. Anche troppo: hanno preso la tele’amera come luogo di sfogo, c’è chi va lì sotto a raccontà i su' problemi, chi chiede e chi dà consigli sull’amore, chi cerca ir cane o ir marito scappati di ‘asa, “Se vedete passà la Graziella mi chiamate a questo numero? Grazie!”, chi cerca un po’ di ‘ompagnia, “Vi garba ir giacchettino novo? bellino eh? o seondo voi era meglio verde?”, chi pensa d’esse a fa i provini der grande fratello e si presenta tutto tirato a lustro, chi ripassa le poesie prima dell'interrogazione e chi ne legge delle proprie.

Un importa la risposta, l’importante è sapè d’esse ascortati e un sentissi più tanto soli. E intanto dall’artra parte patatine & cocacola a nastro, e certi fegati ingrossati…


Ma.

4 febbraio 2010

Arriva Imo

Ir pubbli'o... Avecci de' fanse è ir sogno segreto di tutti, avete voglia pallacce a dì di no, voi 'he cantate gnudi davanti lo specchio, che v'arzate la mattina e salutate la via vòta dalla finestra mandando i bacini 'on le mane, che passate in macchina e co' una mano guidate e con quell'artra tenete un microfano fatto d'aria mentre 'antate dietro la radio... deh, vi vedo passà! Via giù, un vi vergognate, a vorte l'ho fatto anch'io... a vorte però. E anche Imo lo fa.

A Imo era già successo una vorta da bimbetto di sentì l’esigenza d’avè davanti quarcuno, mentre stava seduto sur cesso. Fu quella vorta della peta che un voleva finì, e allora, appena si rese ‘onto dell’eccezionalità della durata, principiò a guardassi intorno alla ricerca d’un pubbli’o cor quale condivide ir fenomeno. La peta ‘ntanto ‘ontinuava senza interruzioni come solo un trombettista ‘he prati’a la respirazione circolare sa fare. Un restava che sortì e andà alla ricerca d’un fan che fosse uno. Passando davanti lo specchio der bagno ci stampò pure un veloce inchino ‘ompiaciuto. Su’ mà stava in cucina, circa dieci metri da percorre per portà ir su’ pezzo ar successo, ma a po’hi passi dall’urtima porta ir su’ assolo di ‘ulo cominciò a singhiozzà fino a diventà una ‘omune peta senza lode e senza infamia, morendo.

Un’artra vorta invece, dopo avè respirato profondamente dopo lo sforzo, sollevò leggermente la ‘oscia destra per fà firtrà un po’ di luce all’interno della tazza der cesso (vizio che Imo si porta dietro ancora adesso): involontariamente, con du’ stronzoli incrociati, aveva riprodotto federmente la nostra italia. Stava tutta lì, una perfetta italia di merda ‘on tanto di Gargano, roba da certosini.

Un pubbli’o! A vorte ‘apita di vedè delle ‘ose o di vive de’ momenti ‘osì ‘ntensi dove vorresti tutte le persone a cui tieni intorno a te, per condividine tutti l’aspetti fino in fondo. L’italia di merda faceva parte di ‘uella categoria di ‘ose.

Mancava sortanto la parte insulare e allora, ‘on tanto sacrificio e contrazioni ‘alibrate, riuscì a partorì uno stronzo triangolare e a fallo cadè propio sulla zona dove mancava la Sicilia, con una precisione da fa’ ‘nvidia a un topografo.

Aveva esaurito ir materiale e le forze per creà la sardegna ma un gliene vorranno velli ‘he di’ano che “sardigna no est itaglia”.

Quer giorno era da solo in casa ‘osì decise d’un tirà l’acqua fino a quando quarcuno un avesse potuto gioire ‘on lui di tale opera artisti’a. Ad arta voce, ‘ntanto, descriveva a un pubbli’o inesistente cale e gorfi, promontori e penisole. Un aveva però fatto i ‘onti ‘on la forza di gravità e l’inclinazione delle pareti der cesso, così che pian pianino tutta l’italia intera ‘ncominciò a scivolà verso ir basso, per finì ‘nghiottita da quella pozza d’acqua che tra le lacrime chiamava “mediterraneo”.

Era giunto ‘r momento di pulissi, visto ‘he fino a quer punto il povero Imo aveva lasciato perde per non coprì l’opera ‘on la carta ‘ome fanno Christo e Jeanne-Claude. Così alla fine distese sur pelo der mare un lenzòlo bianco e marrone in segno di lutto e tirò lo sciacquone ‘ondannando l’italia ad atlantidea fine.

Restò per quarche minuto a osservà l’acqua limpida nella speranza ‘he quarcosa o quarcuno si fosse sarvato.


Ma.

1 febbraio 2010

Alla base della 'atena


A guardammi un sembrerebbe ma uno de’ mi migliori amici fa ‘r parrucchieri e capita che lo vada a trovà in negozio mentre lavora, così, tanto per fagli perde tempo o magari distrallo sperando di vedè quarche urecchio per la terra a uso Van Gogh.

Ner negozio, l’urtima vorta che son stato da lui, mi sono soffermato su quello ‘he diceva la gente mentre aspettava di pettinassi ir capino e mi s’è illuminato quarcosa ner cervello: intorno a me c’era der materiale per i prossimi dugento post.

Su un divanino se ne stavano du’ signore cinesi ‘he parlavan tra loro nella su’ lingua e che di si’uro, a giudi’à dall’espressione ‘ontenta de’ ghigni, si stavano dicendo delle ‘ose ganzissime. Peccato però un si ‘apisse una sega.

Artre du’ signore, queste delle nostre parti, stavano sedute su du’ seggiole a ragionà della figliola di quarcuno, a raccontà delle su' abitudini sessuali e cose ‘onnesse, ad arta voce, sforzandosi tra l’artro di parlà un italiano ‘orretto che faceva sganascià da ride. Si sa, se uno esclama “cane della beLva” è più raffinato.

Sedute su un artro divanino ancora du’ signore, intente a commentà tra loro, bisbigliando, i discorsi dell’arte due, con le mani messe rispettosamente davanti la bocca che pareva d’esse nella sala d’attesa der dentista.

Infine un’arta donnina tutta pettinata che un si ‘apiva cosa ci facesse dar parrucchieri, s'era piazzata su una seggiola in disparte e da lì ascortava tutto senza favellà, ma con dell’occhi e una faccia attenta e compiaciuta che pareva prendesse appunti per poi diffonde le notizie ar di fòri der negozio nemmeno un’untrice.

Era una sorta di ‘atena, strutturata ‘ome quella alimentare, le signore ar vertice spettegolavano a arta voce, quell’arte due smalignavano su quello ‘he sentivano (ma anche sulle pettegole stesse) senza fassene accorge, l’ultima si nutriva dei cazzi di tutte l’arte impaziente d’anda a casa a raccontà tutto a chissacchì!

Mentre studiavo questa ‘osa seondo me di fondamentale ‘mportanza per chi si vole occupa in maniera professionale de’ cazzi artrui, le donne cinesi se ne vanno cor capino tutto agghindato. Ir tempo di sortì fòri e principian tutte e cinque a parlà di loro, cose del tipo un se ne pole più, son troppi, ci ‘opiano, ma i sòrdi chi glieli dà… inzomma, s’erano unite per criti’à le cinesi.

Li per li ho penzato fosse razzismo ma ho capito subito che era tutta 'nvidia: ir parlà cinese le tirava fori dalla ‘atena, un partecipavano ar gioino e si facevano i cazzi sua, armeno all’apparenza. Magari ‘on quella lingua strana pigliavano anche per il culo tutti senza fassene accorge.

E a quell’arte questa cosa ni faceca montà la berva.

Stavo per dinni quarcosa, alle signore inviperite, ma m’accorsi che lì, propio alla base della ‘atena, c’ero io, ner mi silenzio e coll’occhi sbarrati: era mezz’ora ‘he mi nutrivo di pettegolezzi per prende spunto e finarmente scrive qui sopra, visto ‘he c’è già chi mi rompe i ‘oglioni sur fatto ‘he scrivo poìno! Deh, vienici te a scrive.

Ci pensò ir parrucchiere a chetalle. Primo perché è un mì ‘amio e poi lo stroncà i discorsi a culo sur nasce fa parte der su mestieri.

Ma.